In attesa di leggere l'ultimo, attesissimo, romanzo di Margaret Mazzantini (Splendore, Mondadori) eccoci a chiacchierare di Nessuno si salva da solo. Uscito nel 2011, racconta la storia di Delia e Gaetano, una coppia come tante che, ad un certo punto, scoppia. E quando i due si ritrovano al tavolo di un ristorante, poco dopo aver distrutto tutto ciò che tanto faticosamente avevano costruito, non è più così chiaro di chi sia la colpa. Già, perché un colpevole deve sempre essere trovato ma la verità vera è che questi due splendidi personaggi, messi completamente a nudo in modo magistrale dall'autrice, sono talmente fragili e distrutti da lasciare spazio soltanto alla loro interiorità, alle loro emozioni. Ecco, Margaret Mazzantini rappresenta un sentimento che non ha un nome chiaro o preciso: quello che senti in modo definito quando qualcuno che ami per un motivo o per l'altro si separa da te, come uno strappo doloroso, un ricordo tagliente, una smorfia malinconica, una lacrima che racchiude parole e sguardi. Forse è ciò che resta quando l'amore finisce, forse è il passaggio difficile ma necessario che serve per ripartire, forse è un punto di vista da cui guardare le cose passate in modo nuovo. Forse è soltanto un luogo in cui nessuno si salva da solo.
Tutto quello che c'è da sapere su libri, autori, concorsi letterari....
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martedì 10 dicembre 2013
lunedì 9 dicembre 2013
Marina Bellezza
Il successo di Acciaio è stato una bellissima novità nel panorama editoriale italiano. La conferma, per chi ancora non ne fosse convinto, che investire sui giovani paga e soprattutto che la buona letteratura italiana non è affatto morta, anzi, è più che mai viva e vegeta. Attendevo quindi con ansia di poter assaporare le più di cinquecento pagine di Marina Bellezza, titolo quanto mai evocativo e illuminante.
La storia scorre veloce e ogni pagina contribuisce a costruire personaggi credibili e netti nelle loro mille sfaccettature; giovani trentenni che tentano di vivere la loro vita divisi tra i sogni (infranti), il peso degli errori, le ombre dei loro genitori e il desiderio (implacabile) di dare un senso alla loro vita. Non esiste una sola realtà, quella sociale ed economica, quella della crisi, quella che grida dalle televisioni che le cose non cambiano, che tutto quanto va male e andrà sempre peggio. C'è, peraltro ben radicata nelle piccole province come Biella, una realtà molto più viva, frizzante e vera, fatta di giovani adulti che vanno avanti. Lavorano, studiano, soprattutto sognano in grande il loro futuro. Allora persino una meteora come quella di Marina Bellezza, pur nella conflittualità inestinguibile del suo io più profondo, esiste e si propaga grazie a quell'energia che possiamo definire -scusate la banalità- forza della vita.
Marina Bellezza è un libro vivo, scritto bene, che non delude chi in Silvia Avallone aveva intravisto una nuova promessa della letteratura nazionale. Marina Bellezza è una bella storia, bella non per via di uno stucchevole lieto fine e neppure per l'emozione che stringe lo stomaco in certi passaggi della narrazione. Marina Bellezza è un bel libro. Punto. Non serve aggiungere altro, fortunatamente.
giovedì 21 novembre 2013
Bookcity Milano 2013 seconda edizione
Ne avevamo già parlato un anno fa e ce ne occupiamo molto volentieri anche 365 giorni dopo. BOOKCITY MILANO è una bellissima iniziativa voluta dal Comune di Milano e dal Comitato Promotore (Fondazione Rizzoli “Corriere della Sera”, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri), a cui si sono affiancati la Camera di Commercio di Milano e l’AIE (Associazione Italiana Editori), in collaborazione con l’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) e l’ALI (Associazione Librai Italiani). Si tratta di una tre gironi dedicata al mondo del libro in tutte le sue forme e dimensioni: spettacoli, dialoghi, letture ad alta voce, libri antichi, piattaforme telematiche, biblioteche. Nella Milano capitale editoriale d'Italia si concentrano eventi alla portata di grandi e piccini per accompagnare tutti nel meraviglioso universo della cultura e delle pagine stampate. Allora non ci resta che goderci questa Milano meravigliosamente nuova, pronta per tuffarsi nell'avventura di Expo 2015 e incredibilmente viva ed emozionante.
Per consultare il programma con tutti gli eventi giorno per giorno visita questo link:
http://www.bookcitymilano.it/il-programma/
Alcune immagini dell'allestimento al Castello Sforzesco. Le immagini sono tratte dal sito:
lunedì 18 novembre 2013
"È dai falliti e dagli sconfitti di una civiltà che se ne possono meglio giudicare le debolezze."
Eccola qui, con i suoi occhi limpidi e i suoi capelli ribelli e meravigliosamente capaci di rispecchiare la sua personalità. Eccola, Doris Lessing; è scivolata via da questo mondo in punta di piedi all'età di 94 anni. Prima ancora di essere colei che ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 2007, Doris May Tayler era una donna eccezionale. Frequentò una scuola cattolica che decise di lasciare all'età di quindici anni diventando autodidatta, si sposò e divorziò per ben due volte e visse in Europa e in Africa. Ai giovani scrittori, durante la cerimonia di consegna del Premio Nobel, diceva: "Have you still got your space? Your sole, your own and necessary place where your own voices may speak to you, you alone, where you may dream. Oh, hold onto it, don't let it go". Uno scrittore deve trovare il suo personale luogo in cui sognare.
E alle donne che la eleggevano paladina del femminismo diceva: "Quello che le femministe vogliono da me è qualcosa che loro non hanno preso in considerazione perché proviene dalla religione. Vogliono che sia loro testimone. Quello che veramente vorrebbero che io dicessi è Sorelle, starò al vostro fianco nella lotta per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci saranno più. Veramente vogliono che si facciano affermazioni tanto semplificate sugli uomini e sulle donne? In effetti, lo vogliono davvero. Sono arrivata con grande rammarico a questa conclusione". Se c'è una cosa di cui siamo certi è che non possiamo cristallizzarla dentro categorie che non le renderebbero giustizia. Allora lasciamo che a parlare siano soltanto le sue meravigliose pagine che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia della letteratura e nelle nostre vite.
La prima delle due immagini e la prima citazione sono tratte dal sito www.britannica.com. La seconda immagine dal sito www.theguardian.com e la seconda citazione dalle pagine del New York Times del 25 luglio 1982.
giovedì 14 novembre 2013
Ancora una volta il mare
Natasa Dragnic è nata a Spalato, in Croazia ed è conosciuta, in Italia e all'estero, per la sua prima pubblicazione Ogni giorno, ogni ora (Feltrinelli 2011). Un romanzo bellissimo, delicato come la schiuma del mare, che racconta di un amore senza fine, profondo e terso, di due amanti che si avvicinano e si allontanano come accade con le onde e il bagnasciuga. Dopo aver letto (e amato molto) questo suo primo romanzo, ho deciso di leggere anche il secondo, incuriosita dalla capacità che ha questa straordinaria scrittrice di raccontare. Sembra banale eppure non lo è affatto: la capacità di narrare autenticamente una storia è quanto di più difficile oggi si possa ritrovare in un qualsiasi romanzo. Ma veniamo a Ancora una volta il mare.
Tre sorelle diverse che più diverse non si può, una famiglia normale e un ragazzo, Alessandro, che finirà per intersecare i fili delle esistenze di tutte e tre con la sua, indissolubilmente. E nonostante la rabbia, il rancore, il dolore, le sofferenze umane e fisiche, tutte le difficoltà che la vita ci costringe ad affrontare, nonostante tutto e tutti, il legame tra sorelle è qualcosa che graniticamente resta saldo. Come una roccia nella tempesta, come un vento che può placare temporaneamente la sua forza ma mai tacitarsi del tutto, quel rapporto di lotta e di amore resiste e si rafforza, cresce indipendentemente da noi. Chi di voi ha dei fratelli può capirlo bene, chi ha delle sorelle (due in particolare) lo può comprendere ancora meglio. Il non detto, le parole che sembrano volate troppo in alto o cadute nel vuoto, le grida, le lacrime, tutto contribuisce a coltivare, rafforzare, portare avanti questa relazione. E proprio quella è la forma più autentica e profonda di amore fraterno, quella che sa sempre sorprendere, quella che provoca i più grandi dolori ma anche le più cristalline, inaspettate gioie.
lunedì 4 novembre 2013
Se potessi tornare indietro
Quante volte ci siamo detti "se potessi tornare indietro, cambierei le cose". Ecco ad Andrew Stilman, giornalista del New York Times, accade proprio questo: ha la possibilità di tonare indietro nel tempo. Certo, le circostanze in cui ciò accade sono quantomeno strane. Viene infatti aggredito mentre fa jogging, in un mattino qualunque della sua vita normale. Eppure il fatto di non essere morto e, anzi, di poter scoprire chi sia ad averlo aggredito diventano il punto di partenza per un'avventura in luoghi lontani ma soprattutto per mettere in discussione le scelte fondamentali della propria vita. Perché quando tutto sfuma inesorabilmente sotto i nostri occhi, siamo costretti a chiederci cosa conti davvero, cosa realmente sia importante, insostituibile nella nostra vita e cosa invece sia solo fumo, apparenza, futilità. Per poter in questo modo investire al meglio ogni minuto della vita che ci rimane, consapevoli che ogni secondo è un dono prezioso che non possiamo sprecare. Marc Levy è un autore dalla penna forte, è capace di delineare personaggi mai scontati, sempre attuali e autentici. Ancora una volta emoziona con una storia per nulla scontata e capace di emozionare, con un finale aperto e tutto da immaginare.
venerdì 18 ottobre 2013
Pane Quotidiano
Che i libri siano pane quotidiano è già di per sé una rivoluzione. Che un programma televisivo scelga tale nome e si proponga su una rete della tv pubblica (sì, ho detto pubblica) pare quasi reazionario. In un'Italia che non legge, che dei libri non sa che farsene (secondo alcuni) ecco uno spaccato di tutti quei silenziosi lettori che delle pagine non sanno proprio fare a meno. Dal lunedì al venerdì alle 12.45 e poi in replica intorno alle 20.10, Pane Quotidiano anzitutto racconta, nel senso più autentico e puro del termine. Concita De Gregorio, con la mano ferma e precisa di chi ha esperienza come direttore di parole e pagine, accompagna lo spettatore alla scoperta di nuove uscite letterarie, approfondimenti e pensieri in merito a tematiche anche di stringente attualità. E non si tratta semplicemente del "Fazio della settimana". Qui ci sono i ragazzi in studio che interagiscono con gli ospiti, ci sono tentativi di riflessione (!!) profonda in merito a questioni fondamentali e proprio per questo quanto mai insabbiate. Perché, troppo spesso lo dimentichiamo, la televisione è un mezzo di comunicazione e come tale "trasporta", veicola messaggi, idee, contenuti. Ciò che c'è all'interno di essa può anche essere curato, attento, di buon livello culturale eppure divulgativo al punto giusto, interessante ma non noioso, di spessore eppure non esclusivo. Per far sì che ciò accada occorre che coloro che fanno televisione credano in essa come in un mezzo dalle enormi potenzialità per raggiungere scopi culturali, formativi, di qualità (non solo utile per fare soldi). Non solo. Ogni tipo di comunicazione funziona e ha senso soltanto se esiste un pubblico a cui è indirizzata. Allora occorre anche che ciascuno di noi sia disposto a scoprire, indagare, interagire, interrogarsi e avere spirito critico verso il mondo che ci circonda. Anche quello televisivo.
mercoledì 18 settembre 2013
Lettera ultima
Immaginate che gli occhi dei personaggi sulla copertina stiano fissando il corpo esanime di una giovane ragazza, caduta (accidentalmente?) dalla finestra del suo appartamento una domenica mattina come tante.
I suoi vicini accorrono e non sono molto sorpresi dell'accaduto, anzi, sono ben decisi a punire i colpevoli. Già, perché grazie a un processo organizzato con tanto di prigione, scosse elettriche, testimonianze, avvocati di difesa e accusa, i colpevoli saranno assicurati alla giustizia. In un mondo di caos e perdizione esiste ancora un luogo dove la legge viene fatta rispettare e si paga con la morte per una colpa spregevole come l'uccisione di una figlia. E il confine tra la giustizia e la vendetta, la tortura e la punizione è sottile tanto quanto quello tra un amore filiale e una sentimento incestuoso. Il narratore parte da un protagonista obeso che sceglie di cambiare vita e subire un'operazione drastica per conquistare l'amore dell'unica donna con la quale si è sentito vivo. Eppure quando si risveglia lei non c'è più. Uno sforzo vano? Un cambiamento inutile?
La scrittura di Giorgio Todde è affilata e tagliente, scardina ogni certezza sull'umano sentire per confondere punti di vista e saldi princìpi. E certo in bocca rimane la profonda amarezza di un'umanità becera, disposta a sacrificare tutto in nome di una giustizia vuota e sorda, che garantisca il "naturale" procedere delle cose.
giovedì 12 settembre 2013
Le cose che non ho
Le cose che non abbiamo sono molte, potremmo completare, forse, innumerevoli liste dei desideri con tutto ciò che vorremmo e soprattutto, con ciò che faremmo nel caso avessimo a disposizione un milione di euro. A chi non è mai balzato alla mente questo pensiero, chi può affermare di non aver mai fatto questo giochino con i propri amici? Bene. Ora immaginiamo che voi ne vinciate diciotto di milioni di euro: ecco ciò che accade a Jo, la protagonista di questo romanzo di Grégoire Delacourt edito da Salani.
Tutto in discesa, direte voi. Si potrà togliere ogni sfizio. Bé il problema in realtà sta proprio qui. Nella possibilità di discernere (non uso a caso questo termine) tra ciò che è essenziale e ciò che è superfluo per vivere, certo, ma soprattutto per vivere felici. Allora di cosa abbiamo realmente bisogno? Di cambiare radicalmente vita? Di mutarla solo in certi aspetti? Di far felici chi amiamo? Degli sconosciuti sfortunati? I nostri amici? Oppure invece siamo così ostinatamente legati e in perfetto equilibrio con la nostra vita di sempre che invece preferiamo non rischiare di alterarlo affatto, questo equilibrio, diventando ciò che non siamo? Perché forse il punto non è tanto se i soldi facciano la felicità (domanda alquanto sciocca, ci aiuterebbero ad avere meno pensieri, certo, ma essere felici è altro) quanto invece se siamo soddisfatti della nostra vita, se vorremmo cambiarla con qualche altra, se ciò che ci manca e che non abbiamo sia davvero quello a cui tendere per essere, finalmente, felici.
Perché infondo le cose che non abbiamo sono, sempre e comunque, cose. E ciò che è più importante nelle nostre vite non è una cosa e soprattutto non si può possedere, mai.
venerdì 30 agosto 2013
Sofia si veste sempre di nero
Sofia in greco significa saggezza. Un nome dunque poetico, antico, che sembra stridere con il personaggio a cui corrisponde. Eppure Sofia conserva in qualche modo dentro di sé una traccia della sapienza nel senso più proprio che anticamente assumeva questo termine: avere sapore. Sofia ha il sapore dei vestiti neri che indossa, della sfuggevolezza di chi non si lascia mai afferrare dagli altri, ha il sapore dell'inquietudine di sua madre e della forza di suo padre, delle radici scure, intrise di terra umida di chi trova rifugio soltanto dentro un bagno caldo in cui sentirsi protetti e amati. A partire dalla sua nascita prematura, fino al viaggio a New York, alla carriera come attrice, Sofia pare assumere diverse forme, come l'acqua che non ha per natura una forma propria. Eppure Sofia c'è, è viva e a differenza di sua madre cerca ancora qualcosa. Certo, un qualcosa di non ben definito ma la spinta a cercare in questi casi è già preludio di salvezza. Un ritratto a macchie scure, un quadro astratto di pungente bellezza: Sofia è questo e il romanzo che la racconta assume i suoi contorni e la sua fisionomia, per schizzare i nostri bei vestiti borghesi e chiederci con forza chi siamo e soprattutto chi vogliamo essere.
mercoledì 28 agosto 2013
Paris in love
Chi conosce bene Parigi lo sa, non c'è miglior posto al mondo in cui potersi abbandonare a passeggiate senza meta, guidate solo dal profumo di una boulangerie. Paris in love è il diario di un intero anno trascorso nella capitale francese. Un anno in cui mollare tutto (lavoro, vita quotidiana in America, amici) per regalarsi del tempo per sé, per ritrovare il senso di ciò che facciamo, per chiedersi cosa realmente desideriamo per noi e come possiamo ottenerlo. La spinta a partire nasce da una malattia terribile che la protagonista sembra essere riuscita a sconfiggere. Al di là del dolore e della sofferenza è proprio il cancro che la spinge a ricominciare in un altrove lontano, forse idealizzato a tratti, dove si può coltivare ciò che di più prezioso ci è stato donato e di cui spesso ci dimentichiamo: il tempo.
Pur nella fatica di un'eccessiva (a mio parere) frammentarietà strutturale del testo, Eloisa James ci regala un vero e proprio inno alla città dell'amore e ci spinge a non dimenticare mai che ciò che amiamo può e deve essere il centro della nostra esistenza.
martedì 27 agosto 2013
Io che amo solo te
Cominciare un libro che inizia con il Maestrale mentre sei in spiaggia e il Maestrale ti scompiglia feroce i capelli suscita una sensazione strana. Come quando rientrando dal lavoro pensi che hai voglia di cioccolato alla menta e lo trovi nella dispensa perché proprio quel giorno qualcuno l'ha comprato. Se vi è capitato qualche volta capite bene di cosa sto parlando. Se poi andate in vacanza e anche le vostre amiche leggono il vostro stesso identico libro bé, allora anche i più scettici devono proprio tacere: era indispensabile completare questa lettura nei tre giorni del Maestrale. Già perché i più "marinari" di noi sanno bene che questo vento del tutto speciale soffia imperterrito almeno per tre giorni, a volte dà la sensazione di placarsi ma è solo per soffiare con maggiore vigore qualche minuto dopo. Tre giorni sono lo sfondo di questo romanzo che accarezza la pelle e stuzzica il naso come l'aria di mare. Prima, durante e dopo un matrimonio. Chi ne ha vissuto uno da vicino lo sa, quei tre giorni sono tutto. L'incontro/scontro con il passato, gli schiaffi dei rimpianti e dei dolori che cercavi di nascondere e invece emergono come gli scogli tra le onde, gli invitati non invitati, i tavoli e soprattutto i genitori. In questa storia in cui passato e presente si intrecciano, ciascuno dei personaggi principali (Chiara e Damiano, gli sposini e don Mimì e Ninella padre di uno e madre dell'altra) ritrova compiutamente se stesso specchiandosi nel proprio figlio o genitore. E allora anche il dolore inspiegabile soffocato per cinquant'anni riemerge, cullato da un amore più forte e intenso che mai. Così la scelta di Chiara e Damiano di sposarsi riporta i loro genitori al punto in cui la loro vita si era fermata, alla scelta che, non avendo avuto il coraggio di compiere, avevano attuato. Solo da lì si può ripartire per costruire una felicità che non è mai troppo tardi per inseguire.
Ps: non ho scritto nulla sullo stile dell'autore. Ma se uno riesce a condensare una storia delicata e autentica nel periodo di durata del Maestrale c'è forse altro da aggiungere?
sabato 3 agosto 2013
Quattro etti d'amore, grazie
Lo dico fin da subito, tanto per chiarire. Amo Chiara Gamberale. La sua scrittura pulita e trasparente, la sua capacità di raccontare, il suo acume nel parlare delle donne e del loro complicatissimo universo. Questo libro è uscito un po' di tempo fa (nel mese di marzo) e ho aspettato fino ad ora per leggerlo soltanto perché, non avendolo ricevuto in regalo per il mio compleanno, ho dovuto attendere la lunga lista di prenotazioni della biblioteca. Ma ne valeva la pena, eccome.
Talvolta leggere il nuovo libro di un autore che ti piace tanto può essere tremendo: lo vedi in vetrina, lo aspetti, lo sfogli, lo annusi (sì, io annuso i libri freschi di stampa, sono buonissimi) e poi inizi a leggerlo, finalmente, con la paura che ti deluda, che non sia all'altezza delle aspettative. E il romanzo precedente di Chiara, Le luci nelle case degli altri, era semplicemente stupendo. Ebbene, sono felice di aver aspettato, me lo sono proprio gustato per bene.
Tanto per cominciare l'elenco della spesa. Ogni piccolo capitolo comincia proprio con la lista dei prodotti acquistati al supermercato da Tea e da Erica. E già qui mi viene da pensare a quante volte faccio proprio questo: cerco di capire chi ho davanti al supermercato in base a cosa c'è nel suo carrello. Ma le due donne protagoniste del romanzo vanno ben oltre, fantasticano sulla meravigliosa vita l'una dell'altra e sognano ad occhi aperti. Non è invidia, non è soltanto voglia di fuggire dalla propria realtà. Si tratta di qualcosa di più, di quella capacità tutta femminile di chiedersi cosa sarebbe successo se avessi fatto scelte diverse, come sarebbe la mia vita se potessi essere più capace di godermi quello che accade senza essere presa da tutte quelle cose piccole e stupide che mi distraggono da ciò che più conta, la mia felicità. E queste domande sono proprio quelle che ci troviamo nel caffè ogni mattina, che ogni notte si addormentano dopo di noi. Fermarsi a pensare a tutte quelle esistenze che potrebbero farci felici, se non fossimo sempre alle prese con la nostra. Questo fa la differenza tra il vivere davvero, compiutamente e lo scorrere dei giorni. Tra un carrello pieno di aspettative, desideri, sogni da costruire e uno di lasagne precotte da scaldare al microonde. Perché la felicità pronta all'uso, apri e gusta non esiste. E se essere se stesse ostinatamente ci porta a compiere errori, a uscire dal seminato bé, è anche l'unico modo che abbiamo per dare un senso al nostro essere qui, ora. Se non sai uscire da un tunnel arredalo, ma con buon gusto.
Perduti tra le pagine
Che siate o meno appassionati dei meravigliosi libri e della sublime scrittura di Margherita Oggero, vi consiglio caldamente (afosamente visto il clima rovente di questi giorni) la lettura di questo freschissimo romanzo. Può andare benissimo sotto l'ombrellone visto il formato, ideale per la borsa da spiaggia stracolma, e il contenuto. Un libro sui libri, tra i libri, per i libri. Sembra un gioco di parole eppure in una perfetta unità di tempo, spazio e azione, Margherita Oggero dipinge un affresco di vita vera. Sullo sfondo della Fiera del Libro di Torino, personaggi diversi per età, professioni, desideri intrecciano le loro esistenze e le legano le une alle altre, indissolubilmente, come le pagine di un libro. Perché nonostante chi dica che la letteratura sia pagina morta e che con la cultura non si mangi, questa storia si può assaporare come un gelato alla menta, che cola appena appena dal cono e accompagna le nostre giornate estive. Una pagina tira l'altra. Ciò che serve a noi che aspettiamo l'estate per leggere vagonate di libri in santa pace, per far scandire il tempo al fruscio delle pagine, per noi che crediamo che la cultura sia buona da mangiare. Soprattutto d'estate.
giovedì 18 luglio 2013
Mi piaci da morire
Essere partite verso l'altra parte del mondo (New York) alla ricerca di non sappiamo bene cosa è già di per sé difficile da far comprendere. Se poi guardando la nostra vita in modo oggettivo ci sembra proprio che nulla stia andando nel modo sperato, non c'è da stupirsi che la gente ci prenda per pazze. Eppure come Monica, la protagonista del romanzo di Federica Bosco Mi piaci da morire, abbiamo il desiderio (legittimo!) di rivendicare la nostra autonomia, di tentare di costruire la nostra strada da sole. "Sbagliando s'impara", ci ripeteva la nostra nonna da piccole. E di errori Monica ne colleziona una valanga: da un lavoro sottopagato con due vecchiette un po' arpie, a un fidanzato alcolizzato, a un ex per il quale è stata tristemente l'amante/seconda scelta e due coinquilini pazzoidi per dormire sonni agitati sotto lo stesso tetto. Gli ingredienti per un esplosivo e leggero, svolazzante romanzo estivo ci sono tutti. E la cosa bella è che Monica scoprirà che riesce a raggiungere i suoi obiettivi soltanto provando "semplicemente" a essere sempre se stessa, senza timori. Una grande lezione per tutte le giovani donne del mondo.
martedì 16 luglio 2013
Tutto quello che avremmo potuto essere io e te se non fossimo stati io e te
Quante volte abbiamo pensato che qualcosa ci facesse sentire legati a una persona che non conoscevamo molto. Quante volte ci è capitato di sentire affinità e intimità con qualcuno visto per la prima volta. Si tratta di sensazioni inspiegabili eppure tanto potenti da lasciarci addosso la sensazione che non sia tutto qui. Quel qualcosa che c'è ma non sappiamo bene da dove venga o che senso abbia, la capacità straordinaria di leggere il passato di chi ci sta di fronte, la paura (inevitabile?) del diverso: sono questi gli ingredienti del libro di Albert Espinosa di cui vogliamo chiacchierare oggi.
Questo romanzo lascia in bocca il sapore delle strade piene di gente, della follia umana che sceglie di privarsi del sonno per poi pagare qualcuno che renda di nuovo la sensazione del sognare. Proprio come Sostiene Pereira lasciava sulle labbra il sapore di omelette e limonate ghiacciate. Non è la stessa cosa, certo. Eppure quella forza che la scrittura assume sulla pagina è forse gemella. La capacità di raccontare lasciando sfumare i confini tra il possibile e l'impossibile, il sogno e la realtà, il passato e il futuro. Perché forse le cose importanti della nostra vita possiamo sentirle col cuore (o con l'esofago) anziché capire necessariamente con la testa. E la persona che amiamo di più potrebbe essere seduta in un teatro, accanto a lei potrebbe esserci un posto vuoto. Allora non ci resta che fare un bagno caldo e lasciar volare la mente tra quello che siamo e quello che avremmo potuto essere.
martedì 9 luglio 2013
Atti mancati
Quello del Premio Strega è un vero e proprio clima. Al di là dell'afa estiva infatti, per alcuni giorni si respira un'aria di attesa e di curiosità. E certamente vale il celeberrimo "bene o male purché se ne parli". Fin qui, tutto liscio come l'olio. Veniamo dunque al romanzo di Matteo Marchesini, candidato appunto al Premio Strega.
Il protagonista, Marco, è un trentenne colto che vive scrivendo (o scrive vivendo) in una strana dimensione di sospensione, tra un passato che percepisce come lontano (e in parte ha del tutto rimosso) e un presente soffocante, privo di qualsiasi stimolo vitale. Il ritorno del suo grande amore Lucia, però, ribalta ogni prospettiva spazio-temporale: gli anni passati si assottigliano e il presente si rafforza con il suo carico di angosce e urgenze. Al contempo il passato diventa pungentemente vivo e rilevante, diventa presente, in tutto e per tutto. Allora ci sono verità che non possono più essere ignorate, che si stagliano sull'orizzonte del futuro come pietre miliari, indispensabili per farci essere compiutamente quello che siamo, oggi.
Con una scrittura delicata e insieme puntigliosa, attenta alla scelta di ogni vocabolo, ricca di citazioni ghiotte per il palato di ogni italianista degno di questo nome, Matteo Marchesini ci consegna una bella storia, intessuta della dolcezza amara di un primo amore che ritorna (e le cose non vanno mai come le abbiamo immaginate). Una storia vera come la pioggia battente di una sera d'estate, pungente come un romanzo in cui la fine è soltanto un nuovo inizio.
"A un certo punto, senza accorgertene, hai trentatré anni. E non puoi neanche dire di non aver raggiunto, almeno in parte, ciò che volevi. Fai un lavoro che non ha orari e quasi non ha gesti, asettico, ripulito da ogni sgradevole contatto umano. Non ricordi nemmeno più quando ha preso piede in te questa necessità di limare, escludere, cancellare tutto: rapporti, viaggi,imprevisti quotidiani. Sai solo che ora che hai quasi raggiunto l'obiettivo, lisciato ogni contorno, pareggiato ogni asperità, non ricordi più perché l'hai fatto."
(Incipit)
"A un certo punto, senza accorgertene, hai trentatré anni. E non puoi neanche dire di non aver raggiunto, almeno in parte, ciò che volevi. Fai un lavoro che non ha orari e quasi non ha gesti, asettico, ripulito da ogni sgradevole contatto umano. Non ricordi nemmeno più quando ha preso piede in te questa necessità di limare, escludere, cancellare tutto: rapporti, viaggi,imprevisti quotidiani. Sai solo che ora che hai quasi raggiunto l'obiettivo, lisciato ogni contorno, pareggiato ogni asperità, non ricordi più perché l'hai fatto."
(Incipit)
giovedì 4 luglio 2013
L'elefante nel salotto
Non abbiamo mai creduto nelle biografie che rivelano il senso nascosto di un romanzo, non cominceremo certo a farlo ora. Oltretutto di questa storia più che la veridicità del ritratto di un ragazzo "problematico" (quanto è triste questa parola, eppure quanto racchiude della nostra società), colpisce la forza indiscriminata della vita. Anche quando ci si ritrova incastrati tra un passato burrascoso segnato dalla voglia di farsi accettare dal gruppo e da quella spinta interiore che fa andare controcorrente, un presente di solitudine e un domani sfocato e lontano, l'esistenza è tutto ciò che rimane. Ed è ciò che serve per andare avanti quando ci sembra di non avere nient'altro che ci giustifichi nel farlo. Quando guardare un tuo amico che beve del vino scuro da un calice sopra un letto macchiato di pipì ci dà la sensazione di essere fuori posto sempre e comunque.
Non è perché Andrea Fiorenza si occupa di psicologia e psicoterapia, dunque, che questo romazo breve funziona. Le sue pagine risplendono infatti di luce propria e rappresentanto con grande forza icastica la dolcezza dell'adolescente perennemente insoddisfatto, la fine di un amore che per salvare muore, la fragilità di un uomo-bambino, il fallimento degli adulti su tutta la linea (genitori, insegnanti...). Come un elefante nel salotto ciò che non vogliamo affrontare rimane lì, granitico, impossibile da ignorare e insieme segno indelebile di ciò che ci identifica in quanto noi stessi, di quello che contribuisce a definirci per ciò che siamo oggi, nel presente. Da qui possiamo ripartire, con la consapevolezza che qualcuno ci tende la mano, che non siamo i soli a percorrere questo cammino, che di fronte a noi si stende l'insesorabile, magnifico orizzonte del domani.
lunedì 1 luglio 2013
L'amore è un difetto meraviglioso (titolo originale: The Rosie project)
Secondo alcune tra le più note testate giornalistiche internazionali siamo di fronte a uno dei più importanti casi editoriali dell'anno. Certo, vedere l'amore come un difetto non è una gran novità, ci sono momenti nella vita di ciascuno di noi in cui ci è apparso come una debolezza più che come un punto di forza. In realtà anche in questa storia si parte dal presupposto per cui amare sia questione di calcolo e di perfezione, al punto tale che Don, il protagonista, professore di genetica all’Università di Melbourne, si dedica alla sua ricerca con strumenti adatti più ad un test scientifico che al campo dei sentimenti. Dal suo punto di vista la ricerca di una moglie (il "Progetto Moglie", appunto) deve essere condotta con criteri rigidi e selettivi, quali questionari per selezionare le possibili candidate, incontri in luoghi adatti a mettere alla prova le capacità di adattamento e i difetti più nascosti. L'obiettivo finale è quello di sceglierne una, la donna perfetta per lui, che lo renda felice e lo aiuti a vivere più a lungo (come è scientificamente provato che accade agli uomini sposati). L'unica insignificante variabile della quale Don non ha tenuto conto è la vita. Gli incontri, gli avvenimenti non soltanto non sono prevedibili ma ci portano a provare dei sentimenti inaspettati verso qualcuno che magari non è perfetto come avevamo immaginato nei nostri sogni. So che starete pensando alla banalità di un romanzetto d'amore con uno stucchevole happy end finale, ma prima di arrivare a trarre conclusioni affrettate vi invito a riflettere su alcuni punti:
1) Don è malato di perfezione e le sue caratteristiche accentuate sono a tratti marcatamente buffe ma certamente vi farà ricordare qualcuno (che magari, come me, avete incontrato nella vita reale) di quelli tutto cervello e zero cuore che non sanno mettersi in gioco per paura delle conseguenze o di provare sentimenti veri.
2) Rosie è un po' l'immagine di tutte quelle donne imperfette che si innamorano spesso (sempre) dell'uomo sbagliato ma che hanno il cuore grande, capace di amare oltre ogni ostacolo.
3) Non ci si stanca mai di parlare di amore, quello vero, con la a maiuscola, perché è il centro di quello che di grande e meraviglioso possiamo vivere, perché è la nostra forza quando l'abbiamo e quando ci manca, perché siamo esseri umani e questo è il difetto per cui vale davvero la pena di vivere la nostra esistenza.
giovedì 13 giugno 2013
Io prima di te
No, non è uno sdolcinato romanzetto d'amore. E neppure una storiella con l'happy end garantito. Nonostante quello che la copertina possa suggerire e i più prevenuti di voi possano pensare, Io prima di te è molto più di questo. E se da un lato lo dico con rammarico perché ho iniziato a leggerlo cercando proprio quel lieto fine che ad alcuni fa venire l'orticaria, dall'altro non posso in tutta onestà non confessarvi che sono rimasta incollata a queste 396 pagine.
Louisa Clark ha ventisei anni e vive con la sua famiglia in un piccolo paesino in cui tutti si conoscono e sanno tutto di tutti. La storia comincia con la perdita del lavoro di Lou e la sua ricerca di un nuovo impiego, che la porterà lungo percorsi inaspettati a scoprire ciò che ancora non sa di se stessa prima ancora che degli altri. Will Traynor dalla sua sedia a rotelle insegnerà a Louisa ad aprire i suoi orizzonti, a sognare in grande, a non accontentarsi di una vita conservata in ordine e perfetta sotto naftalina. E non si tratta soltanto di imparare a fare immersioni nella barriera corallina o viaggiare in aereo dall'altra parte del mondo. Aprire la mente è innanzitutto conoscere se stessi nel profondo, accettarsi completamente (sbagli compresi), lasciare spazio ai dolori più grandi perché possano consumarsi e pian piano farsi più leggeri; e il cammino percorso non può essere cancellato, permane indelebile a ricordarci quello che eravamo e quanta strada abbiamo compiuto per arrivare a essere quello che siamo. Tuttavia io credo che ci sia una componente che sfugge (fortunatamente) al nostro controllo. E questi sentimenti, queste imprevedibili sfumature che la vita disegna senza chiederci alcun permesso fanno la differenza, tutta la differenza del mondo. Il filo che separa l'amore dall'affetto, la com-passione (nel senso greco del termine) dalla pietà, la vita dalla morte, per quanto sottile esiste, c'è e non può essere scavalcato senza conseguenze. Io (ma è un pensiero del tutto personale) credo che il dolore e la sofferenza siano personali, intimi e privati e per questo non sottoponibili a giudizio con un metro esterno e lineare. Tuttavia credo con la stessa fermezza che a volte crediamo di poter decidere di cose che non stanno nelle nostre mani e che affidandoci con amore potremmo trovare molte più risposte di quante possiamo immaginare.
giovedì 6 giugno 2013
Mai più
Queste pagine sono un pugno nello stomaco. E non soltanto perché raccontano di violenza fisica e psicologica potente come un pugno, ma soprattutto perché le storie sono talmente tante, talmente vere da far accapponare la pelle. Di violenza sulle donne non si parla mai abbastanza, lo dimostrano il progetto teatrale di Serena Dandini (da cui poi è nato questo libro), i manifesti della campagna "la violenza ha mille volti, impara a riconoscerli", le notizie dei telegiornali e dei quotidiani. E poi, diciamolo, il nostro essere donne ce lo ricorda ogni istante della nostra vita. Serena Dandini fa parlare tutte quelle donne uccise da ex, partner, mariti, compagni, fratelli o genitori. Quelle che sembrano non avere più voce e invece tra queste pagine trovano lo spazio per raccontare uno scempio fatto di quotidianità. Già, perché che si tratti di donne lapidate, accoltellate, strangolate, prese a calci o a pugni, arse vive, portate al suicidio o eliminate prima ancora di nascere, tutte quante hanno in comune un assassino (perché solo così può essere chiamato chi compie tutto ciò) che le ferisce a morte ogni giorno della loro vita. Allora è proprio il caso di smettere di dire "era così una brava persona" o "una coppia perfetta" oppure ancora "nessuno se lo sarebbe aspettato". Perché queste sono tragedie annunciate, ficchiamocelo nella testa. E non sono delitti passionali perché non c'è alcuna passione che possa spingere a eliminare una donna in quanto donna oppure in quanto proprietà mia e di nessun altro. Le donne, certamente, possono imparare a denunciare, a non piegare la testa, a non assuefarsi a una violenza quotidiana e perpetrata all'infinito. Ma tutti noi (le istituzioni, la scuola, lo Stato, la Chiesa, la giustizia, i genitori, i politici, i dirigenti delle aziende) siamo responsabili, uomini e donne, di creare una cultura del rispetto verso ogni essere vivente, di realizzare un mondo in cui la donna non sia un oggetto, una proprietà, una conquista, un corpo, un'attrazione, una merce di scambio ma semplicemente un essere umano. Fino ad allora continueremo a urlare a squarciagola "mai più".
A questo indirizzo è possibile aderire alla petizione per chiedere subito gli Stati Generali contro la violenza sulle donne:
lunedì 3 giugno 2013
Ora
Appartenere a qualcosa, a qualcuno, pensò. Forse è l'unico modo perché i nostri piedi diventino radici. Piantare radici e poi diventare alberi, che il vento non porta via. Come la quercia del vecchio Dante, che è nello stesso pezzo di terra da così tante vite da poter sicuramente essere considerato il più vecchio abitante dei dintorni.
(pp. 108- 109)
I piedi, le radici che ci spingono a restare, che ci fanno sentire fermamente legati a quella terra che ci nutre e ci ha generati. Il vento che tutto travolge, che scompiglia i nostri rami e i progetti che abbiamo per la nostra vita. Partiamo da qui per chiacchierare dell'ultimo romanzo di Mattia Signorini, Ora.
Cominciamo da un'immagine legata alla natura eppure sempre efficace come quella dell'albero. Ettore, il protagonista della storia, è ormai adulto, almeno anagraficamente, si è costruito una vita sua, è indipendente e vive a Milano. La gravidanza della sorella Claudia, che crescerà suo figlio senza un padre, lo costringe tuttavia a tornare nel piccolo paese in cui è nato, per vendere la casa di famiglia dopo la morte dei genitori. Ma non si può diventare realmente adulti senza fare i conti con il passato, con le nostre radici e anche con ciò che è accaduto durante la nostra giovinezza. Ettore è un uomo che non ha ancora imparato a scegliere qualcosa per sé. Si lasciava condurre dai consigli della sorella nel rapporto con i genitori, segue la via tracciata dal suo agente per la pubblicazione dei suoi libri, è fuggito dall'unica donna che abbia realmente amato senza un perché. Ma i nodi vengono al pettine e soprattutto, crescere è scegliere. E non importa in quale generazione siamo nati, se in quella della vecchia Ester o del piccolo Luca, ci dobbiamo passare tutti, prima o poi.
Con il suo tratto limpido, Mattia Signorini racconta deliziosamente una storia di famiglia, di amore, di giovinezza e di vecchiaia, di maturità e di adultità, sullo sfondo della piccola provincia meravigliosamente e genuinamente italiana. Una prova concreta del fatto che la narrativa italiana è viva, brillante e più che mai in crescita e che i giovani del nostro Paese non sono tutti schizzinosi o bamboccioni.
sabato 18 maggio 2013
Il tuttomio
La capacità narrativa di Andrea Camilleri è senza dubbio incantevole. Nonostante io abbia già letto e imparato a conoscere bene molto di ciò che ha scritto, riesce sempre a sorprendermi con il suo inarrivabile modo di far vedere i personaggi, le scene del romanzo come se fossero proprio davanti a noi, in un teatro. Non si tratta soltanto della sua esperienza di sceneggiatore, c'è di più. C'è la capacità di far vivere i personaggi, di far acquisire loro spessore sulla carta, di farli essere vivi, in carne, ossa, sensazioni, odori, pensieri, idee, ricordi. Il personaggio è un universo intero a cui il lettore si accosta e che il narratore scava a fondo, senza pietà. Così accade con Arianna, meravigliosa rappresentazione mediterranea della donna che è ciò che è, in ogni piccolo pezzetto del suo essere, grazie a tutte le esperienze che ha vissuto. Ogni singolo episodio, soprattutto i più terribili, contribuiscono a renderla fragile e forte insieme, debole e paurosa, indipendente eppure così legata a suo marito, Giulio. Una donna insomma, con tutti gli infiniti universi che questa parola prova a contenere. Camilleri li fa esplodere e come un attento osservatore silenzioso rimane a guardare quello che accade mentre tutto, forse va in frantumi. Già, forse, perché probabilmente era prevedibile che un gioco d'amore come quello che Giulio e Arianna hanno machiavellicamente progettato non potesse funzionare per sempre in modo perfetto. Era prevedibile che qualcosa sfuggisse al loro controllo. Forse.
Con questo nuovo romanzo impregnato della calura estiva che solo in Sicilia possiamo davvero respirare, Camilleri ci interroga (a modo suo, cioè con nessuna domanda e una storia che dice tutto quanto) sulla possibilità di un amore fatto solo di purezza e sentimenti e un altro solo di carnalità e fisicità. Come se questi aspetti si potessero provare a dividere nettamente per vedere cosa succederebbe allora. Cosa potrebbe accadere se l'amore per qualcuno fosse forte, deciso, intenso oltre ogni ragionevole dubbio ma non potesse trovare un soddisfacimento fisico. E viceversa se questa pulsione sessuale possa essere relegata a un pomeriggio settimanale, ogni volta con un compagno diverso. Dove comincia l'eros, quali confini ha? E soprattutto, al di là di questo, quanto ciò che siamo condiziona in modo inequivocabile la nostra relazione (di qualsiasi tipo essa sia) con l'altro?
Sono suggestioni che lascio a chi legge, che saprà trarre certamente le sue conclusioni.
giovedì 16 maggio 2013
Ernest e Celestine
Si tratta senz'altro di una delle più tenere storie di Daniel Pennac, anche se i suoi lettori più fedeli non stenteranno a riconoscere la dolcezza del tratto descrittivo di Benjamin Malaussène. Ernest e Celestine sono rispettivamente un orso bruno e una piccola topolina, che vivono in mondi rigorosamente separati e lontani. Ma i due, una volta conosciutisi in buffe circostanze, non baderanno troppo a convenzioni e pregiudizi e si dedicheranno con gioia a coltivare la propria amicizia. Sotto la parvenza di una fiaba, Daniel Pennac dimostra ancora una volta la sua straordinaria capacità narrativa e con pennellate delicate e assolutamente deliziose racconta una storia in cui il bene vince (finalmente!), in cui sognare non è una cosa da bambini e cambiare il mondo non è solo per gli eroi. Chi è se stesso veramente, chi sceglie con coraggio di seguire la sua strada, le sue passioni senza lasciarsi influenzare da chi lo circonda conquista il premio più ambito di tutti, la felicità. E come solo chi ha il cuore pieno di amore può fare, decide di spendersi per donare ciò che ha ottenuto agli altri.
ps: se i disegni vi sembrano familiari non siete impazziti: è il tratto dell'artista Gabrielle Vincent. In chiusura del romanzo l'autore dichiara apertamente l'amore che lo lega ai personaggi dei suoi albi illustrati e racconta anche una buffa vicenda di amicizia epistolare che ha stretto con la disegnatrice.
pps: finalmente una storia in cui si beve cioccolata calda a colazione...
martedì 14 maggio 2013
Salone Internazionale del Libro di Torino
Quattro padiglioni, 51.000 metri quadri di superficie, 27 sale convegni,
più di 1.400 editori, 300.000 visitatori in cinque giorni. Questi sono i numeri con cui parte il Salone
Internazionale del Libro di Torino. Si tratta della più grande manifestazione
d'Italia dedicata all'editoria, alla lettura e alla cultura, e fra le
più importanti in Europa. Il tema conduttore di questa edizione è la creatività. Si vuole infatti sollecitare una riflessione su quella cultura del progetto che
l'Italia ha sin qui trascurato, ma di cui ha certamente bisogno di
fronte a una crisi che nasce anche dall'incapacità di elaborare un'idea
organica di società nel medio e lungo periodo. ci si interroga sulle frontiere dell'innovazione, sul funzionamento della "macchina delle idee".
Il paese ospite è il Cile, la regione invece la Calabria. E certo il Salone quest'anno non dimentica il centocinquantesimo anniversario della nascita di Gabriele D'Annunzio cui, insieme con la Fondazione «Il Vittoriale degli Italiani», rende omaggio con una mostra di libri e manoscritti
autografi provenienti dalla biblioteca privata e dall'archivio del
Vittoriale di Gardone Riviera. Ma non mancano le novità e non solo nell'ambito dedicato ai professionisti del settore. La più importante è Casa CookBook l'area del Padiglione 3 interamente dedicata alle pubblicazioni enogastronomiche.
Per tutte le informazioni pratiche e logistiche, per ogni curiosità si può fare riferimento al sito (http://www.salonelibro.it/) dove tutti coloro che lavorano o sono impossibilitati a raggiungere la città possono godersi i video delle presentazioni o anche solo le bellissime immagini di una Torino casa delle culture, di un'Italia che finalmente trova spazio e tempo da dedicare alla cultura. E quando accade, il suo panorama diventa ancora più bello.
domenica 12 maggio 2013
Cuore cavo
Viola Di Grado ha presentato il suo nuovo libro presso le Librerie Feltrinelli e ovviamente mi ci sono fiondata, incuriosita non soltanto dalla copertina e dal titolo di questa nuova uscita, ma anche dalla storia che l'autrice di Settanta acrilico trenta lana aveva deciso di raccontare. Marta Perego e Chicca Gagliardo commentando il libro conducono la chiacchierata tutta al femminile, con tanto di tazze da tè e teiera alla mano. Viola indossa una buffa molletta a forma di ragno che le ferma i capelli, ha un'espressione tesa e risponde in modo lineare e fermo alle domande che le vengono rivolte. Parliamo subito del libro perché, nonostante tutto, credo che sia la cosa più importante nell'incontro con un autore. Al di là del confronto con quello precedente, delle fatiche vissute nel redigerlo, di quanta sia la componente autobiografica in esso, il libro è il libro. E contiene quello che l'autrice ha scelto di raccontare, di condividere con il suo pubblico. Punto. Lasciamo parlare la storia dunque.
Dorotea Giglio è una giovane donna di venticinque anni, con capelli e occhi castani, che una mattina di luglio decide di uccidersi nella vasca da bagno di casa sua. Inizio forte, icastico, inquietante. Eppure la morte di Dorotea è l'inizio e non la fine, come noi umani siamo abituati a concepirla. È il punto di partenza per pensare il nostro corpo, le modalità comunicative, le relazioni tra le persone, i sentimenti in modo del tutto nuovo. Dorotea racconta il suo corpo che si decompone, gli animaletti che cominciano ad abitarlo e in questo suo nuovo stato di morta che vive talvolta più autenticamente dei vivi, riflette e rielabora aspetti della sua vita che forse non aveva mai osservato e compreso così compiutamente: dal rapporto con sua madre, all'assenza di suo padre, all'innamoramento per un ragazzo che forse non l'ha mai amata. Dorotea Giglio è, prima e dopo il 23 luglio 2011, se stessa. Che la morte possa essere un'occasione, un trampolino di lancio, una scusa per costringerci a riflettere su quello che abbiamo da vivi e che è così prezioso, non sta a me dirlo. Certamente nel nostro Paese, oggi, la morte è ancora un tabù. E Viola Di Grado lo affronta con decisione e potenza, scegliendo con cura ogni singolo vocabolo del suo romanzo. E al di là che sia autobiografico, dettato da paure nascoste, più o meno maturo di Settanta acrilico trenta lana, è certamente un bel libro, raccontato da una vera scrittrice.
mercoledì 24 aprile 2013
Lontano da ogni cosa
L'amicizia è stata al centro di moltissimi romanzi, racconti, opere letterarie di qualsivoglia genere. Quando poi essa assume la forma stretta e insieme elastica di una molla, contorta e insieme capace di riavvicinare di colpo dopo anni di lontananza, bé forse meriterebbe di essere citata con un nome creato ad hoc. In questo periodo però i nomi non sono il mio forte (mannaggia!) perciò lasceremo l'arduo compito ai linguisti, noi proveremo a soffermarci per un attimo sul libro di cui vogliamo parlare oggi. Lontano da ogni cosa pone al centro delle sue 270 pagine proprio l'amicizia tra Alberto e Stefano, coinquilini, compagni di università: non potrebbero essere più diversi l'uno dall'altro. Fin qui nulla di nuovo, direte voi. Eppure, come ormai avrete intuito, qualcosa di speciale c'è in questo libro. E non si tratta solamente di una scrittura decisa, netta, capace di emozionare e al contempo di descrivere limpidamente le emozioni e i rapporti tra le persone (che tutto sono fuorché cristallini). Mattia Signorini scrive bene, e probabilmente neppure questa è una novità per chi già da tempo aveva scoperto il suo modo di narrare. Ma c'è molto di più in questo romanzo. C'è il desiderio di due giovani di trovare la propria strada, di capire dove vogliono e desiderano andare, quale cammino stanno percorrendo. C'è il confine quanto mai labile tra l'arte e il mondo degli artisti, tra la fama e la folle convinzione di bastare a se stessi, tra il possesso di una donna e l'amore, tra le vie, i sentieri contorti della vita e le scorciatoie luminescenti. Eppure in mezzo a tutte queste dicotomie che fanno a pugni e vanno a braccetto (a seconda dei momenti) c'è un punto fermo: l'amicizia, l'affetto, il legame autentico tra Alberto e Stefano. Al di là di tutto e di tutti (di tutte, forse) questo faro illumina la strada dei due protagonisti e in qualche modo indirizza le loro esistenze. Allora eccolo qui il miracolo di Mattia Signorini, la capacità, la voglia di rappresentare i giovani per quello che sono senza giudicarli, senza etichettarli, senza condannare il loro sentirsi sperduti in un mondo caotico e confuso. E per fare questo certo, è utile essere giovani, ma bisogna anche avere il coraggio di raccontare, nel senso più pieno e magico che questo termine può assumere.
giovedì 18 aprile 2013
Se mi chiami mollo tutto... però chiamami
Questo libro delizioso è capitato fra le mie mani quasi per caso e in pochi giorni me lo sono gustato, come un bicchiere di latte tiepido alla menta. Dani, il protagonista, pone al centro della narrazione se stesso, tanto che le vicende si dilatano e si restringono a seconda del modo di procedere dei suoi pensieri. Ciò che desidera ricordare o che ha particolarmente amato emerge con forza e insieme delicatamente, inesorabilmente tra le pagine fitte di immagini di grande efficacia. Ciò che fatica a spiegarsi, ad accettare rimane più nascosto ma ugualmente traspare tra le pieghe della storia. I luoghi, i colori, gli spazi acquisiscono una vera e propria caratterizzazione, un ruolo nel racconto, come se si trattasse di personaggi reali. Del resto quel che rimane dopo questa lettura fresca e sprizzante di vita è la consapevolezza non solo che essere diversi dalla massa è un valore, ma che può essere anche un desiderio, un cammino lungo il quale scoprire alcune parti sconosciute di noi stessi. Espinosa tocca la profondità dell'uomo (quella più felice, più vicina all'amore ma anche quella più dolorosa e legata alla morte) con leggerezza, con dolcezza e sa parlare al cuore con semplicità e gioia. Finalmente!
mercoledì 10 aprile 2013
Le affinità alchemiche
Come spesso mi accade, sono stata catturata dalla perfezione assoluta di questo titolo. E dopo aver letto tutto il libro ne sono ancora più convinta, si tratta quasi di un'illuminazione. Accostato poi a una delle meravigliose copertine fotografiche a cui la Mondadori ci ha abituati, rasenta l'idillio. No, non sto esagerando, e adesso arriva il bello. Questo libro, inutile girarci intorno, tratta di un tema scabroso e scottante ancor più dell'età adolescenziale dei suoi protagonisti. L'incesto è un tabù etico e sociale, lo sappiamo bene, ma la letteratura ne ha trattato a partire da Edipo perciò non dovremmo scandalizzarci più di tanto se ruotando attorno a questo tema si riescono a riempire più di 350 pagine. Già, ruotando attorno al tema, perché Gaia Coltorti non riesce ad andare a fondo. Non voglio imputare ciò alla sua pur giovane età (vent'anni), né al fatto che si tratti di un'esordiente (come ha fatto notare Viola Di Grado una a vent'anni può aver già scritto venti libri anche se pubblica soltanto il primo. Pienamente d'accordo). Però la sensazione è quella di lanciare il sasso e togliere la mano: al di là degli espliciti (perché non solo velati?) riferimenti al Romeo and Juliet di Shakespeare (dall'amore struggente e proibito, allo sfondo di Verona), oltre alla commovente e melensa storia d'amore non si riesce ad arrivare. E allora la domanda è: perché scegliere di parlare di incesto senza poi oltrepassare la superficie e sviscerare la conflittualità dei sentimenti, gli scontri con il mondo esterno, la patina di perfezione di un amore che in realtà è fragile come una bolla di sapone pronta a scoppiare? Voi direte, bé, si è scelto di trattarne in modo leggero perché i protagonisti sono giovani. No, non voglio pensare che il progetto fosse quello di un romanzetto di costume e l'età dei protagonisti non può giustificare una trattazione così effimera. Oltretutto non sorretta per nulla dalla tela della scrittura che presenta notevoli buchi strutturali, si lascia trascinare da slang giovanili che però accostati a termini altisonanti e a citazioni classiche perdono del tutto mordente.
Come i lettori sanno non pubblico quasi mai recensioni negative, piuttosto non parlo di un libro che non mi è piaciuto. Ma credo che questa volta, per onestà intellettuale, debba dire la mia. Poi ai lettori è sempre concesso lo spazio per replicare e rispondere in tutta libertà. Largo alle vostre sentenze, dunque.
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