Il titolo di questo libro è tutto un programma, ma se pensate che sia una banale versione post postmoderna dell'eterno rapporto conflittuale tra uomo e donna vi sbagliate. Chi conosce Federica Bosco lo sa bene. Dietro alla sua scrittura frizzante e fresca, che si beve leggera un sorso al giorno c'è una fotografia (quasi disarmante per quanto è veritiera) della realtà. Cristina, poco più che trentenne, si ritrova nel giro di poche ore senza lavoro e senza fidanzato storico (e piattola aggiungo io). Ci sarebbero tutti i motivi per buttarsi giù se non fosse che, durante un esilarante e finto tentativo di suicidio, la nostra eroina (è proprio il caso di dirlo) incontri un meraviglioso, bellissimo dottore. MM, questa la sigla con cui è indicato l'aitante Marco, stravolge la quieta e insipida vita sentimentale di Cristina e porta con sé uscite a quattro (si dà il caso che il soggetto in questione sia fidanzato), litigi, cene di Natale improvvisate, corse nel parco di prima mattina. In tutto ciò, come se non bastasse, Cristina diventa suo malgrado una celeberrima star del piccolo schermo a suon di disastri e figuracce pubblicamente condivisi. Gli ingredienti per un romanzo divertente e mai scontato ci sono tutti e infatti Federica Bosco non si smentisce. Perché infondo non conta tanto come gli uomini entrino nelle nostre vite, attraverso quali strade, con quali obiettivi, per quali motivazioni. Ciò che fa la differenza è la vita nella quale si intrufolano, ciò che importa davvero siamo noi. Perché anche se ci spezzano il cuore, ci lasciano nel gelo ad aspettare per ore in un parco pubblico deserto, non rispondono al telefono, scompaiono per giorni o ci assillano, anche se ci tradiscono o ci costringono a letto depresse sotto un quintale di coperte, siamo noi che facciamo la differenza: la nostra capacità di uscire più forti da quel dolore, più autentiche dopo quell'incontro che magari non è esattamente ciò che ci aspettavamo ma a qualcosa serve. Serve a noi stesse per capire da cosa dobbiamo fuggire. Ma soprattutto cosa vogliamo realmente dalla nostra vita.
Tutto quello che c'è da sapere su libri, autori, concorsi letterari....
Translate
giovedì 30 gennaio 2014
martedì 14 gennaio 2014
Sei come sei
Eva ha undici anni, l'apparecchio ai denti, capelli scuri e occhi indagatori. Eva fugge da Milano su un treno, per ritornare da suo papà. E il fatto che Eva una mamma non l'abbia mai avuta, che sia figlia di due papà conta poco. O meglio, non cambia di una virgola l'amore filiale che prova per il suo papà. Forse lo rende ancor più radicato e disperato.
Le meraviglie di questo nuovo libro di Melania Mazzucco sono molte (il personaggio di Eva, con tutte le sue contraddizioni e fragilità di adolescente, la granitica nonna Margherita, il viaggio come strada in cui ritrovarsi, la musica come specchio dell'anima eccetera). Quella che però voglio sottolineare più di tutte è la storia d'amore tra Christian e Giose, i genitori di Eva, che è soltanto il corollario della narrazione. Certamente si tratta, in Italia, di un argomento taboo e Melania Mazzucco lo sa bene. Lo accompagna sullo sfondo con delicatezza, senza mai scivolare nelle rivendicazioni sguaiate, nel patetismo o nella banalità del pensiero comune. Pagina dopo pagina ti accorgi che il tema, con la T maiuscola, che si vuole porre sotto il riflettore è quello della paternità. In particolare quel legame indissolubile, fortissimo che si crea tra padre e figlia. Quello che cambia per sempre ogni parte di te (figlia), ogni singola cellula, dal primo giorno, che influenza le tue scelte, affettive e non. Eva ha bisogno del contatto fisico con il suo papà, e non soltanto perché sta attraversando una di quelle fasi della vita in cui hai bisogno di sentirti amata, voluta, desiderata. Eva ha bisogno della sua famiglia per essere quello che è e per diventare donna.
Questo libro bellissimo sa di delicatezza, di abbracci caldi sotto le coperte, di pigiami troppo grandi, di neve fitta fuori dalla finestra, di libri raccontati, di incontri sorprendenti. Sa di vita. E ha un profumo buonissimo.
venerdì 10 gennaio 2014
La traduttrice
Questo romanzo prende il via sulle tracce blu della tintura per capelli che Aaliya, settantadue anni, si sta applicando nel piccolo bagno di casa sua. Affacciandosi ad uno specchio di fronte al quale si riflette tutta una vita, Aaliya intraprende un lungo dialogo con il lettore. Proprio come se fosse di fronte a lei e potesse leggere nei suoi occhi gli anni trascorsi, la storia del Libano e delle persone che la protagonista ha amato. Come se dietro quello specchio ci fosse proprio lui, il lettore, come se le distanze si affievolissero al punto tale da ritrovarsi uno di fronte all'altra. La scrittura si confonde con l'ascolto, la narrazione con il dialogo puro, ma dobbiamo aggiungere ancora un elemento per inquadrare del tutto il nuovo romanzo di Rabih Alameddine: la liricità. E non si tratta soltanto delle citazioni coltissime che sostengono come puntali la struttura della storia, ma di un modo di scrivere che ricorda le pennellate degli impressionisti, i vertici della poesia del secondo Novecento. Ecco, qualcosa abbiamo detto. Certo, il minimo per stuzzicare la curiosità di chi non si lascerà spaventare da un racconto un po' statico ma di grande eleganza, dal gusto del tè rosso bollente, rigorosamente in foglie.
Iscriviti a:
Post (Atom)