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giovedì 13 giugno 2013

Io prima di te




No, non è uno sdolcinato romanzetto d'amore. E neppure una storiella con l'happy end garantito. Nonostante quello che la copertina possa suggerire e i più prevenuti di voi possano pensare, Io prima di te è molto più di questo. E se da un lato lo dico con rammarico perché ho iniziato a leggerlo cercando proprio quel lieto fine che ad alcuni fa venire l'orticaria, dall'altro non posso in tutta onestà non confessarvi che sono rimasta incollata a queste 396 pagine. 
Louisa Clark ha ventisei anni e vive con la sua famiglia in un piccolo paesino in cui tutti si conoscono e sanno tutto di tutti. La storia comincia con la perdita del lavoro di Lou e la sua ricerca di un nuovo impiego, che la porterà lungo percorsi inaspettati a scoprire ciò che ancora non sa di se stessa prima ancora che degli altri. Will Traynor dalla sua sedia a rotelle insegnerà a Louisa ad aprire i suoi orizzonti, a sognare in grande, a non accontentarsi di una vita conservata in ordine e perfetta sotto naftalina. E non si tratta soltanto di imparare a fare immersioni nella barriera corallina o viaggiare in aereo dall'altra parte del mondo. Aprire la mente è innanzitutto conoscere se stessi nel profondo, accettarsi completamente (sbagli compresi), lasciare spazio ai dolori più grandi perché possano consumarsi e pian piano farsi più leggeri; e il cammino percorso non può essere cancellato, permane indelebile a ricordarci quello che eravamo e quanta strada abbiamo compiuto per arrivare a essere quello che siamo. Tuttavia io credo che ci sia una componente che sfugge (fortunatamente) al nostro controllo. E questi sentimenti, queste imprevedibili sfumature che la vita disegna senza chiederci alcun permesso fanno la differenza, tutta la differenza del mondo. Il filo che separa l'amore dall'affetto, la com-passione (nel senso greco del termine) dalla pietà, la vita dalla morte, per quanto sottile esiste, c'è e non può essere scavalcato senza conseguenze. Io (ma è un pensiero del tutto personale) credo che il dolore e la sofferenza siano personali, intimi e privati e per questo non sottoponibili a giudizio con un metro esterno e lineare. Tuttavia credo con la stessa fermezza che a volte crediamo di poter decidere di cose che non stanno nelle nostre mani e che affidandoci con amore potremmo trovare molte più risposte di quante possiamo immaginare. 

giovedì 6 giugno 2013

Mai più



Queste pagine sono un pugno nello stomaco. E non soltanto perché raccontano di violenza fisica e psicologica potente come un pugno, ma soprattutto perché le storie sono talmente tante, talmente vere da far accapponare la pelle. Di violenza sulle donne non si parla mai abbastanza, lo dimostrano il progetto teatrale di Serena Dandini (da cui poi è nato questo libro), i manifesti della campagna "la violenza ha mille volti, impara a riconoscerli", le notizie dei telegiornali e dei quotidiani. E poi, diciamolo, il nostro essere donne ce lo ricorda ogni istante della nostra vita. Serena Dandini fa parlare tutte quelle donne uccise da ex, partner, mariti, compagni, fratelli o genitori. Quelle che sembrano non avere più voce e invece tra queste pagine trovano lo spazio per raccontare uno scempio fatto di quotidianità. Già, perché che si tratti di donne lapidate, accoltellate, strangolate, prese a calci o a pugni, arse vive, portate al suicidio o eliminate prima ancora di nascere, tutte quante hanno in comune un assassino (perché solo così può essere chiamato chi compie tutto ciò) che le ferisce a morte ogni giorno della loro vita. Allora è proprio il caso di smettere di dire "era così una brava persona" o "una coppia perfetta" oppure ancora "nessuno se lo sarebbe aspettato". Perché queste sono tragedie annunciate, ficchiamocelo nella testa. E non sono delitti passionali perché non c'è alcuna passione che possa spingere a eliminare una donna in quanto donna oppure in quanto proprietà mia e di nessun altro. Le donne, certamente, possono imparare a denunciare, a non piegare la testa, a non assuefarsi a una violenza quotidiana e perpetrata all'infinito. Ma tutti noi (le istituzioni, la scuola, lo Stato, la Chiesa, la giustizia, i genitori, i politici, i dirigenti delle aziende) siamo responsabili, uomini e donne, di creare una cultura del rispetto verso ogni essere vivente, di realizzare un mondo in cui la donna non sia un oggetto, una proprietà, una conquista, un corpo, un'attrazione, una merce di scambio ma semplicemente un essere umano. Fino ad allora continueremo a urlare a squarciagola "mai più". 

A questo indirizzo è possibile aderire alla petizione per chiedere subito gli Stati Generali contro la violenza sulle donne:

lunedì 3 giugno 2013

Ora

Ora Mattia Signorini Mattia Signorini | Ora

Appartenere a qualcosa, a qualcuno, pensò. Forse è l'unico modo perché i nostri piedi diventino radici. Piantare radici e poi diventare alberi, che il vento non porta via. Come la quercia del vecchio Dante, che è nello stesso pezzo di terra da così tante vite da poter sicuramente essere considerato il più vecchio abitante dei dintorni.
(pp. 108- 109)
 
I piedi, le radici che ci spingono a restare, che ci fanno sentire fermamente legati a quella terra che ci nutre e ci ha generati. Il vento che tutto travolge, che scompiglia i nostri rami e i progetti che abbiamo per la nostra vita. Partiamo da qui per chiacchierare dell'ultimo romanzo di Mattia Signorini, Ora.
Cominciamo da un'immagine legata alla natura eppure sempre efficace come quella dell'albero. Ettore, il protagonista della storia, è ormai adulto, almeno anagraficamente, si è costruito una vita sua, è indipendente e vive a Milano. La gravidanza della sorella Claudia, che crescerà suo figlio senza un padre, lo costringe tuttavia a tornare nel piccolo paese in cui è nato, per vendere la casa di famiglia dopo la morte dei genitori. Ma non si può diventare realmente adulti senza fare i conti con il passato, con le nostre radici e anche con ciò che è accaduto durante la nostra giovinezza. Ettore è un uomo che non ha ancora imparato a scegliere qualcosa per sé. Si lasciava condurre dai consigli della sorella nel rapporto con i genitori, segue la via tracciata dal suo agente per la pubblicazione dei suoi libri, è fuggito dall'unica donna che abbia realmente amato senza un perché. Ma i nodi vengono al pettine e soprattutto, crescere è scegliere. E non importa in quale generazione siamo nati, se in quella della vecchia Ester o del piccolo Luca, ci dobbiamo passare tutti, prima o poi.
Con il suo tratto limpido, Mattia Signorini racconta deliziosamente una storia di famiglia, di amore, di giovinezza e di vecchiaia, di maturità e di adultità, sullo sfondo della piccola provincia meravigliosamente e genuinamente italiana. Una prova concreta del fatto che la narrativa italiana è viva, brillante e più che mai in crescita e che i giovani del nostro Paese non sono tutti schizzinosi o bamboccioni.