giovedì 18 luglio 2013

Mi piaci da morire



Essere partite verso l'altra parte del mondo (New York) alla ricerca di non sappiamo bene cosa è già di per sé difficile da far comprendere. Se poi guardando la nostra vita in modo oggettivo ci sembra proprio che nulla stia andando nel modo sperato, non c'è da stupirsi che la gente ci prenda per pazze. Eppure come Monica, la protagonista del romanzo di Federica Bosco Mi piaci da morire, abbiamo il desiderio (legittimo!) di rivendicare la nostra autonomia, di tentare di costruire la nostra strada da sole. "Sbagliando s'impara", ci ripeteva la nostra nonna da piccole. E di errori Monica ne colleziona una valanga: da un lavoro sottopagato con due vecchiette un po' arpie, a un fidanzato alcolizzato, a un ex per il quale è stata tristemente l'amante/seconda scelta e due coinquilini pazzoidi per dormire sonni agitati sotto lo stesso tetto. Gli ingredienti per un esplosivo e leggero, svolazzante romanzo estivo ci sono tutti. E la cosa bella è che Monica scoprirà che riesce a raggiungere i suoi obiettivi soltanto provando "semplicemente" a essere sempre se stessa, senza timori. Una grande lezione per tutte le giovani donne del mondo. 

martedì 16 luglio 2013

Tutto quello che avremmo potuto essere io e te se non fossimo stati io e te



Quante volte abbiamo pensato che qualcosa ci facesse sentire legati a una persona che non conoscevamo molto. Quante volte ci è capitato di sentire affinità e intimità con qualcuno visto per la prima volta. Si tratta di sensazioni inspiegabili eppure tanto potenti da lasciarci addosso la sensazione che non sia tutto qui. Quel qualcosa che c'è ma non sappiamo bene da dove venga o che senso abbia, la capacità straordinaria di leggere il passato di chi ci sta di fronte, la paura (inevitabile?) del diverso: sono questi gli ingredienti del libro di Albert Espinosa di cui vogliamo chiacchierare oggi. 
Questo romanzo lascia in bocca il sapore delle strade piene di gente, della follia umana che sceglie di privarsi del sonno per poi pagare qualcuno che renda di nuovo la sensazione del sognare. Proprio come Sostiene Pereira lasciava sulle labbra il sapore di omelette e limonate ghiacciate. Non è la stessa cosa, certo. Eppure quella forza che la scrittura assume sulla pagina è forse gemella. La capacità di raccontare lasciando sfumare i confini tra il possibile e l'impossibile, il sogno e la realtà, il passato e il futuro. Perché forse le cose importanti della nostra vita possiamo sentirle col cuore (o con l'esofago) anziché capire necessariamente con la testa. E la persona che amiamo di più potrebbe essere seduta in un teatro, accanto a lei potrebbe esserci un posto vuoto. Allora non ci resta che fare un bagno caldo e lasciar volare la mente tra quello che siamo e quello che avremmo potuto essere. 

martedì 9 luglio 2013

Atti mancati


Quello del Premio Strega è un vero e proprio clima. Al di là dell'afa estiva infatti, per alcuni giorni si respira un'aria di attesa e di curiosità. E certamente vale il celeberrimo "bene o male purché se ne parli". Fin qui, tutto liscio come l'olio. Veniamo dunque al romanzo di Matteo Marchesini, candidato appunto al Premio Strega.
Il protagonista, Marco, è un trentenne colto che vive scrivendo (o scrive vivendo) in una strana dimensione di sospensione, tra un passato che percepisce come lontano (e in parte ha del tutto rimosso) e un presente soffocante, privo di qualsiasi stimolo vitale. Il ritorno del suo grande amore Lucia, però, ribalta ogni prospettiva spazio-temporale: gli anni passati si assottigliano e il presente si rafforza con il suo carico di angosce e urgenze. Al contempo il passato diventa pungentemente vivo e rilevante, diventa presente, in tutto e per tutto. Allora ci sono verità che non possono più essere ignorate, che si stagliano sull'orizzonte del futuro come pietre miliari, indispensabili per farci essere compiutamente quello che siamo, oggi. 
Con una scrittura delicata e insieme puntigliosa, attenta alla scelta di ogni vocabolo, ricca di citazioni ghiotte per il palato di ogni italianista degno di questo nome, Matteo Marchesini ci consegna una bella storia, intessuta della dolcezza amara di un primo amore che ritorna (e le cose non vanno mai come le abbiamo immaginate). Una storia vera come la pioggia battente di una sera d'estate, pungente come un romanzo in cui la fine è soltanto un nuovo inizio. 

"A un certo punto, senza accorgertene, hai trentatré anni. E non puoi neanche dire di non aver raggiunto, almeno in parte, ciò che volevi. Fai un lavoro che non ha orari e quasi non ha gesti, asettico, ripulito da ogni sgradevole contatto umano. Non ricordi nemmeno più quando ha preso piede in te questa necessità di limare, escludere, cancellare tutto: rapporti, viaggi,imprevisti quotidiani. Sai solo che ora che hai quasi raggiunto l'obiettivo, lisciato ogni contorno, pareggiato ogni asperità, non ricordi più perché l'hai fatto."
(Incipit)


giovedì 4 luglio 2013

L'elefante nel salotto

L'elefante nel salotto

Non abbiamo mai creduto nelle biografie che rivelano il senso nascosto di un romanzo, non cominceremo certo a farlo ora. Oltretutto di questa storia più che la veridicità del ritratto di un ragazzo "problematico" (quanto è triste questa parola, eppure quanto racchiude della nostra società), colpisce la forza indiscriminata della vita. Anche quando ci si ritrova incastrati tra un passato burrascoso segnato dalla voglia di farsi accettare dal gruppo e da quella spinta interiore che fa andare controcorrente, un presente di solitudine e un domani sfocato e lontano, l'esistenza è tutto ciò che rimane. Ed è ciò che serve per andare avanti quando ci sembra di non avere nient'altro che ci giustifichi nel farlo. Quando guardare un tuo amico che beve del vino scuro da un calice sopra un letto macchiato di pipì ci dà la sensazione di essere fuori posto sempre e comunque. 
Non è perché Andrea Fiorenza si occupa di psicologia e psicoterapia, dunque, che questo romazo breve funziona. Le sue pagine risplendono infatti di luce propria e rappresentanto con grande forza icastica la dolcezza dell'adolescente perennemente insoddisfatto, la fine di un amore che per salvare muore, la fragilità di un uomo-bambino, il fallimento degli adulti su tutta la linea (genitori, insegnanti...). Come un elefante nel salotto ciò che non vogliamo affrontare rimane lì, granitico, impossibile da ignorare e insieme segno indelebile di ciò che ci identifica in quanto noi stessi, di quello che contribuisce a definirci per ciò che siamo oggi, nel presente. Da qui possiamo ripartire, con la consapevolezza che qualcuno ci tende la mano, che non siamo i soli a percorrere questo cammino, che di fronte a noi si stende l'insesorabile, magnifico orizzonte del domani.

lunedì 1 luglio 2013

L'amore è un difetto meraviglioso (titolo originale: The Rosie project)


Secondo alcune tra le più note testate giornalistiche internazionali siamo di fronte a uno dei più importanti casi editoriali dell'anno. Certo, vedere l'amore come un difetto non è una gran novità, ci sono momenti nella vita di ciascuno di noi in cui ci è apparso come una debolezza più che come un punto di forza. In realtà anche in questa storia si parte dal presupposto per cui amare sia questione di calcolo e di perfezione, al punto tale che Don, il protagonista, professore di genetica all’Università di Melbourne, si dedica alla sua ricerca con strumenti adatti più ad un test scientifico che al campo dei sentimenti. Dal suo punto di vista la ricerca di una moglie (il "Progetto Moglie", appunto) deve essere condotta con criteri rigidi e selettivi, quali questionari per selezionare le possibili candidate, incontri in luoghi adatti a mettere alla prova le capacità di adattamento e i difetti più nascosti. L'obiettivo finale è quello di sceglierne una, la donna perfetta per lui, che lo renda felice e lo aiuti a vivere più a lungo (come è scientificamente provato che accade agli uomini sposati). L'unica insignificante variabile della quale Don non ha tenuto conto è la vita. Gli incontri, gli avvenimenti non soltanto non sono prevedibili ma ci portano a provare dei sentimenti inaspettati verso qualcuno che magari non è perfetto come avevamo immaginato nei nostri sogni. So che starete pensando alla banalità di un romanzetto d'amore con uno stucchevole happy end finale, ma prima di arrivare a trarre conclusioni affrettate vi invito a riflettere su alcuni punti:
1) Don è malato di perfezione e le sue caratteristiche accentuate sono a tratti marcatamente buffe ma certamente vi farà ricordare qualcuno (che magari, come me, avete incontrato nella vita reale) di quelli tutto cervello e zero cuore che non sanno mettersi in gioco per paura delle conseguenze o di provare sentimenti veri.
2) Rosie è un po' l'immagine di tutte quelle donne imperfette che si innamorano spesso (sempre) dell'uomo sbagliato ma che hanno il cuore grande, capace di amare oltre ogni ostacolo.
3) Non ci si stanca mai di parlare di amore, quello vero, con la a maiuscola, perché è il centro di quello che di grande e meraviglioso possiamo vivere, perché è la nostra forza quando l'abbiamo e quando ci manca, perché siamo esseri umani e questo è il difetto per cui vale davvero la pena di vivere la nostra esistenza.