domenica 16 dicembre 2012

Come ho perso la guerra


A dispetto del titolo e del carro armato in copertina, il romanzo di Filippo Bologna non racconta di una guerra, o meglio non solo e non semplicemente di questo. Racconta di un uomo che si confronta con la sua famiglia, i suoi antenati, i suoi contemporanei, con la donna che ama e soprattutto con la realtà che lo circonda. Cosa mai potrà succedere in un piccolo paesino della Toscana in cui tutti si conoscono e la routine quotidiana è ormai la normalità? Bé per esempio che arrivi un magnate a sconvolgere i consolidati equilibri cittadini con una proposta economica che sconvolge il paese. Ma non si tratta soltanto di schierarsi da una parte o dall'altra, di supportare o di combattere appunto l'Ottone Gattai della situazione. Perché forse, quello che Filippo Bologna vuole comunicarci è la difficoltà estrema con cui un uomo affronta il mondo che lo circonda tentando di cambiarlo secondo i suoi principi e la sua morale, parola e soprattutto concetto quanto mai fuori moda oggi. Al dì là della trama, che porta ad immaginare ogni singolo albero del paesino in cui la storia è ambientata, bisogna riconoscere a Filippo Bologna, e una volta tanto all'editor che ce l'ha consegnato  su fogli di carta riciclata, il merito di scrivere in un italiano meravigliosamente fluente, dolce come l'acqua della montagna e insieme incrostato di quei toscanismi a cui ci hanno abituato i grandi della letteratura italiana. Per una volta, lasciatecelo dire: evviva!
Per la scheda del libro si veda la pagina di riferimento sul sito dell'editore: 

martedì 4 dicembre 2012

L'angolo dei lettori ribelli

 
Quando un libro non lo prendi tu (dallo scaffale della biblioteca o della libreria) ma qualcuno lo sceglie per te, lo leggi con ancora più curiosità, cercando qualcosa che ti somigli o almeno un indizio del perché abbiano scelto proprio quello. Il libro di Rebecca Makkai forse ha come protagonista una ragazza un po' fuori dal tempo, di quelle un po' rare ma non ancora del tutto estinte ventiseienni che credono nei libri, sono certe che i libri possano salvare la vita delle persone. Sognatrice? Idealista? Forse, ma si vive di sogni infondo.
Lucy Hull fa la bibliotecaria e lo fa talmente in modo ostinato da farsi venire un eritema sulle gambe a causa del contatto con la poltroncina della sua scrivania, collocata nella sezione ragazzi. 
Lucy Hull consiglia i libri a quei lettori in grado di comprenderne il contenuto eccezionale. Ma c'è un piccolo lettore in particolare che Lucy stima, perché sa che il suo cuore si sta plasmando pagina dopo pagina e si sente parte di quella creazione. Ian e Lucy diventano complici, amici, legati da un filo indissolubile che si chiama letteratura. L'amore per i libri può essere totalizzante e a tratti forviante perché si ha l'illusione che la realtà sia regolata dalle stesse leggi che si trovano tra le pagine. E il confine è talmente labile che a volte svanisce o pare svanire. Ma l'importante è che al termine di quella straordinaria avventura, qualunque essa sia, ci rimanga la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di autentico, che ci ha permesso di scoprire chi siamo davvero. Ecco, i libri forse servono a questo, a salvare la nostra vita da noi stessi.