
Quello che siamo da adulti è legato a doppio filo con quello che eravamo da piccoli, con la nostra infanzia. E fin qui nulla di nuovo. Tutto sta nel come interpretiamo questo filo (doppio non a caso). Se ci facciamo stringere fino a soffocare oppure se lo utilizziamo come un elastico capace di lanciarci a tutta velocità verso il futuro. Imi ha vissuto la sua vita di bambino in un orfanotrofio ungherese, prigione e guscio protettivo per moltissimi bambini che qui hanno faticosamente percorso il cammino per diventare adulti. Imi a diciotto anni sceglie di spostarsi a Londra, di essere lontano e indipendente, di lavorare in una compagnia di caffetterie la cui struttura è rigidamente gerarchica e, appunto, piramidale. Ma non è trasferendosi dall'altra parte dell'Europa che Imi può scordare quello che realmente sente dentro di sé e quel suo sguardo a tratti ingenuo e spaurito di bambino lo accompagna ovunque vada. Perché la verità è che quel doppio filo fa parte di noi e ci costituisce, nel bene e nel male, come uomini e donne adulti, in grado di decidere con coscienza per le nostre esistenze. Basta esserne consapevoli, imparare a conviverci e non smettere mai di sognare in grande, come quando eravamo piccoli.
ps: se vi aspettate un romanzo triste e strappalacrime questo non lo è proprio perciò orientatevi altrove.