Sofia in greco significa saggezza. Un nome dunque poetico, antico, che sembra stridere con il personaggio a cui corrisponde. Eppure Sofia conserva in qualche modo dentro di sé una traccia della sapienza nel senso più proprio che anticamente assumeva questo termine: avere sapore. Sofia ha il sapore dei vestiti neri che indossa, della sfuggevolezza di chi non si lascia mai afferrare dagli altri, ha il sapore dell'inquietudine di sua madre e della forza di suo padre, delle radici scure, intrise di terra umida di chi trova rifugio soltanto dentro un bagno caldo in cui sentirsi protetti e amati. A partire dalla sua nascita prematura, fino al viaggio a New York, alla carriera come attrice, Sofia pare assumere diverse forme, come l'acqua che non ha per natura una forma propria. Eppure Sofia c'è, è viva e a differenza di sua madre cerca ancora qualcosa. Certo, un qualcosa di non ben definito ma la spinta a cercare in questi casi è già preludio di salvezza. Un ritratto a macchie scure, un quadro astratto di pungente bellezza: Sofia è questo e il romanzo che la racconta assume i suoi contorni e la sua fisionomia, per schizzare i nostri bei vestiti borghesi e chiederci con forza chi siamo e soprattutto chi vogliamo essere.
Tutto quello che c'è da sapere su libri, autori, concorsi letterari....
venerdì 30 agosto 2013
mercoledì 28 agosto 2013
Paris in love
Chi conosce bene Parigi lo sa, non c'è miglior posto al mondo in cui potersi abbandonare a passeggiate senza meta, guidate solo dal profumo di una boulangerie. Paris in love è il diario di un intero anno trascorso nella capitale francese. Un anno in cui mollare tutto (lavoro, vita quotidiana in America, amici) per regalarsi del tempo per sé, per ritrovare il senso di ciò che facciamo, per chiedersi cosa realmente desideriamo per noi e come possiamo ottenerlo. La spinta a partire nasce da una malattia terribile che la protagonista sembra essere riuscita a sconfiggere. Al di là del dolore e della sofferenza è proprio il cancro che la spinge a ricominciare in un altrove lontano, forse idealizzato a tratti, dove si può coltivare ciò che di più prezioso ci è stato donato e di cui spesso ci dimentichiamo: il tempo.
Pur nella fatica di un'eccessiva (a mio parere) frammentarietà strutturale del testo, Eloisa James ci regala un vero e proprio inno alla città dell'amore e ci spinge a non dimenticare mai che ciò che amiamo può e deve essere il centro della nostra esistenza.
martedì 27 agosto 2013
Io che amo solo te
Cominciare un libro che inizia con il Maestrale mentre sei in spiaggia e il Maestrale ti scompiglia feroce i capelli suscita una sensazione strana. Come quando rientrando dal lavoro pensi che hai voglia di cioccolato alla menta e lo trovi nella dispensa perché proprio quel giorno qualcuno l'ha comprato. Se vi è capitato qualche volta capite bene di cosa sto parlando. Se poi andate in vacanza e anche le vostre amiche leggono il vostro stesso identico libro bé, allora anche i più scettici devono proprio tacere: era indispensabile completare questa lettura nei tre giorni del Maestrale. Già perché i più "marinari" di noi sanno bene che questo vento del tutto speciale soffia imperterrito almeno per tre giorni, a volte dà la sensazione di placarsi ma è solo per soffiare con maggiore vigore qualche minuto dopo. Tre giorni sono lo sfondo di questo romanzo che accarezza la pelle e stuzzica il naso come l'aria di mare. Prima, durante e dopo un matrimonio. Chi ne ha vissuto uno da vicino lo sa, quei tre giorni sono tutto. L'incontro/scontro con il passato, gli schiaffi dei rimpianti e dei dolori che cercavi di nascondere e invece emergono come gli scogli tra le onde, gli invitati non invitati, i tavoli e soprattutto i genitori. In questa storia in cui passato e presente si intrecciano, ciascuno dei personaggi principali (Chiara e Damiano, gli sposini e don Mimì e Ninella padre di uno e madre dell'altra) ritrova compiutamente se stesso specchiandosi nel proprio figlio o genitore. E allora anche il dolore inspiegabile soffocato per cinquant'anni riemerge, cullato da un amore più forte e intenso che mai. Così la scelta di Chiara e Damiano di sposarsi riporta i loro genitori al punto in cui la loro vita si era fermata, alla scelta che, non avendo avuto il coraggio di compiere, avevano attuato. Solo da lì si può ripartire per costruire una felicità che non è mai troppo tardi per inseguire.
Ps: non ho scritto nulla sullo stile dell'autore. Ma se uno riesce a condensare una storia delicata e autentica nel periodo di durata del Maestrale c'è forse altro da aggiungere?
sabato 3 agosto 2013
Quattro etti d'amore, grazie
Lo dico fin da subito, tanto per chiarire. Amo Chiara Gamberale. La sua scrittura pulita e trasparente, la sua capacità di raccontare, il suo acume nel parlare delle donne e del loro complicatissimo universo. Questo libro è uscito un po' di tempo fa (nel mese di marzo) e ho aspettato fino ad ora per leggerlo soltanto perché, non avendolo ricevuto in regalo per il mio compleanno, ho dovuto attendere la lunga lista di prenotazioni della biblioteca. Ma ne valeva la pena, eccome.
Talvolta leggere il nuovo libro di un autore che ti piace tanto può essere tremendo: lo vedi in vetrina, lo aspetti, lo sfogli, lo annusi (sì, io annuso i libri freschi di stampa, sono buonissimi) e poi inizi a leggerlo, finalmente, con la paura che ti deluda, che non sia all'altezza delle aspettative. E il romanzo precedente di Chiara, Le luci nelle case degli altri, era semplicemente stupendo. Ebbene, sono felice di aver aspettato, me lo sono proprio gustato per bene.
Tanto per cominciare l'elenco della spesa. Ogni piccolo capitolo comincia proprio con la lista dei prodotti acquistati al supermercato da Tea e da Erica. E già qui mi viene da pensare a quante volte faccio proprio questo: cerco di capire chi ho davanti al supermercato in base a cosa c'è nel suo carrello. Ma le due donne protagoniste del romanzo vanno ben oltre, fantasticano sulla meravigliosa vita l'una dell'altra e sognano ad occhi aperti. Non è invidia, non è soltanto voglia di fuggire dalla propria realtà. Si tratta di qualcosa di più, di quella capacità tutta femminile di chiedersi cosa sarebbe successo se avessi fatto scelte diverse, come sarebbe la mia vita se potessi essere più capace di godermi quello che accade senza essere presa da tutte quelle cose piccole e stupide che mi distraggono da ciò che più conta, la mia felicità. E queste domande sono proprio quelle che ci troviamo nel caffè ogni mattina, che ogni notte si addormentano dopo di noi. Fermarsi a pensare a tutte quelle esistenze che potrebbero farci felici, se non fossimo sempre alle prese con la nostra. Questo fa la differenza tra il vivere davvero, compiutamente e lo scorrere dei giorni. Tra un carrello pieno di aspettative, desideri, sogni da costruire e uno di lasagne precotte da scaldare al microonde. Perché la felicità pronta all'uso, apri e gusta non esiste. E se essere se stesse ostinatamente ci porta a compiere errori, a uscire dal seminato bé, è anche l'unico modo che abbiamo per dare un senso al nostro essere qui, ora. Se non sai uscire da un tunnel arredalo, ma con buon gusto.
Perduti tra le pagine
Che siate o meno appassionati dei meravigliosi libri e della sublime scrittura di Margherita Oggero, vi consiglio caldamente (afosamente visto il clima rovente di questi giorni) la lettura di questo freschissimo romanzo. Può andare benissimo sotto l'ombrellone visto il formato, ideale per la borsa da spiaggia stracolma, e il contenuto. Un libro sui libri, tra i libri, per i libri. Sembra un gioco di parole eppure in una perfetta unità di tempo, spazio e azione, Margherita Oggero dipinge un affresco di vita vera. Sullo sfondo della Fiera del Libro di Torino, personaggi diversi per età, professioni, desideri intrecciano le loro esistenze e le legano le une alle altre, indissolubilmente, come le pagine di un libro. Perché nonostante chi dica che la letteratura sia pagina morta e che con la cultura non si mangi, questa storia si può assaporare come un gelato alla menta, che cola appena appena dal cono e accompagna le nostre giornate estive. Una pagina tira l'altra. Ciò che serve a noi che aspettiamo l'estate per leggere vagonate di libri in santa pace, per far scandire il tempo al fruscio delle pagine, per noi che crediamo che la cultura sia buona da mangiare. Soprattutto d'estate.