sabato 18 maggio 2013

Il tuttomio

 
 
La capacità narrativa di Andrea Camilleri è senza dubbio incantevole. Nonostante io abbia già letto e imparato a conoscere bene molto di ciò che ha scritto, riesce sempre a sorprendermi con il suo inarrivabile modo di far vedere i personaggi, le scene del romanzo come se fossero proprio davanti a noi, in un teatro. Non si tratta soltanto della sua esperienza di sceneggiatore, c'è di più. C'è la capacità di far vivere i personaggi, di far acquisire loro spessore sulla carta, di farli essere vivi, in carne, ossa, sensazioni, odori, pensieri, idee, ricordi. Il personaggio è un universo intero a cui il lettore si accosta e che il narratore scava a fondo, senza pietà. Così accade con Arianna, meravigliosa rappresentazione mediterranea della donna che è ciò che è, in ogni piccolo pezzetto del suo essere, grazie a tutte le esperienze che ha vissuto. Ogni singolo episodio, soprattutto i più terribili, contribuiscono a renderla fragile e forte insieme, debole e paurosa, indipendente eppure così legata a suo marito, Giulio. Una donna insomma, con tutti gli infiniti universi che questa parola prova a contenere. Camilleri li fa esplodere e come un attento osservatore silenzioso rimane a guardare quello che accade mentre tutto, forse va in frantumi. Già, forse, perché probabilmente era prevedibile che un gioco d'amore come quello che Giulio e Arianna hanno machiavellicamente progettato non potesse funzionare per sempre in modo perfetto. Era prevedibile che qualcosa sfuggisse al loro controllo. Forse.
Con questo nuovo romanzo impregnato della calura estiva che solo in Sicilia possiamo davvero respirare, Camilleri ci interroga (a modo suo, cioè con nessuna domanda e una storia che dice tutto quanto) sulla possibilità di un amore fatto solo di purezza e sentimenti e un altro solo di carnalità e fisicità. Come se questi aspetti si potessero provare a dividere nettamente per vedere cosa succederebbe allora. Cosa potrebbe accadere se l'amore per qualcuno fosse forte, deciso, intenso oltre ogni ragionevole dubbio ma non potesse trovare un soddisfacimento fisico. E viceversa se questa pulsione sessuale possa essere relegata a un pomeriggio settimanale, ogni volta con un compagno diverso. Dove comincia l'eros, quali confini ha? E soprattutto, al di là di questo, quanto ciò che siamo condiziona in modo inequivocabile la nostra relazione (di qualsiasi tipo essa sia) con l'altro?
Sono suggestioni che lascio a chi legge, che saprà trarre certamente le sue conclusioni.


giovedì 16 maggio 2013

Ernest e Celestine

Ernest e Celestine
Si tratta senz'altro di una delle più tenere storie di Daniel Pennac, anche se i suoi lettori più fedeli non stenteranno a riconoscere la dolcezza del tratto descrittivo di Benjamin Malaussène. Ernest e Celestine sono rispettivamente un orso bruno e una piccola topolina, che vivono in mondi rigorosamente separati e lontani. Ma i due, una volta conosciutisi in buffe circostanze, non baderanno troppo a convenzioni e pregiudizi e si dedicheranno con gioia a coltivare la propria amicizia. Sotto la parvenza di una fiaba, Daniel Pennac dimostra ancora una volta la sua straordinaria capacità narrativa e con pennellate delicate e assolutamente deliziose racconta una storia in cui il bene vince (finalmente!), in cui sognare non è una cosa da bambini e cambiare il mondo non è solo per gli eroi. Chi è se stesso veramente, chi sceglie con coraggio di seguire la sua strada, le sue passioni senza lasciarsi influenzare da chi lo circonda conquista il premio più ambito di tutti, la felicità. E come solo chi ha il cuore pieno di amore può fare, decide di spendersi per donare ciò che ha ottenuto agli altri.
ps: se i disegni vi sembrano familiari non siete impazziti: è il tratto dell'artista Gabrielle Vincent. In chiusura del romanzo l'autore dichiara apertamente l'amore che lo lega ai personaggi dei suoi albi illustrati e racconta anche una buffa vicenda di amicizia epistolare che ha stretto con la disegnatrice.
pps: finalmente una storia in cui si beve cioccolata calda a colazione...
 










martedì 14 maggio 2013

Salone Internazionale del Libro di Torino



Quattro padiglioni, 51.000 metri quadri di superficie, 27 sale convegni, più di 1.400 editori, 300.000 visitatori in cinque giorni. Questi sono i numeri con cui parte il Salone Internazionale del Libro di Torino. Si tratta della più grande manifestazione d'Italia dedicata all'editoria, alla lettura e alla cultura, e fra le più importanti in Europa. Il tema conduttore di questa edizione è la creatività. Si vuole infatti sollecitare una riflessione su quella cultura del progetto che l'Italia ha sin qui trascurato, ma di cui ha certamente bisogno di fronte a una crisi che nasce anche dall'incapacità di elaborare un'idea organica di società nel medio e lungo periodo. ci si interroga sulle frontiere dell'innovazione, sul funzionamento della "macchina delle idee". 
Il paese ospite è il Cile, la regione invece la Calabria. E certo il Salone quest'anno non dimentica il centocinquantesimo anniversario della nascita di Gabriele D'Annunzio cui, insieme con la Fondazione «Il Vittoriale degli Italiani», rende omaggio con una mostra di libri e manoscritti autografi provenienti dalla biblioteca privata e dall'archivio del Vittoriale di Gardone Riviera. Ma non mancano le novità e non solo nell'ambito dedicato ai professionisti del settore. La più importante è Casa CookBook l'area del Padiglione 3 interamente dedicata alle pubblicazioni enogastronomiche. 
Per tutte le informazioni pratiche e logistiche, per ogni curiosità si può fare riferimento al sito (http://www.salonelibro.it/) dove tutti coloro che lavorano o sono impossibilitati a raggiungere la città possono godersi i video delle presentazioni o anche solo le bellissime immagini di una Torino casa delle culture, di un'Italia che finalmente trova spazio e tempo da dedicare alla cultura. E quando accade, il suo panorama diventa ancora più bello.

domenica 12 maggio 2013

Cuore cavo


Viola Di Grado ha presentato il suo nuovo libro presso le Librerie Feltrinelli e ovviamente mi ci sono fiondata, incuriosita non soltanto dalla copertina e dal titolo di questa nuova uscita, ma anche dalla storia che l'autrice di Settanta acrilico trenta lana aveva deciso di raccontare. Marta Perego e Chicca Gagliardo commentando il libro conducono la chiacchierata tutta al femminile, con tanto di tazze da tè e teiera alla mano. Viola indossa una buffa molletta a forma di ragno che le ferma i capelli, ha un'espressione tesa e risponde in modo lineare e fermo alle domande che le vengono rivolte. Parliamo subito del libro perché, nonostante tutto, credo che sia la cosa più importante nell'incontro con un autore. Al di là del confronto con quello precedente, delle fatiche vissute nel redigerlo, di quanta sia la componente autobiografica in esso, il libro è il libro. E contiene quello che l'autrice ha scelto di raccontare, di condividere con il suo pubblico. Punto. Lasciamo parlare la storia dunque.
Dorotea Giglio è una giovane donna di venticinque anni, con capelli e occhi castani, che una mattina di luglio decide di uccidersi nella vasca da bagno di casa sua. Inizio forte, icastico, inquietante. Eppure la morte di Dorotea è l'inizio e non la fine, come noi umani siamo abituati a concepirla. È il punto di partenza per pensare il nostro corpo, le modalità comunicative, le relazioni tra le persone, i sentimenti in modo del tutto nuovo. Dorotea racconta il suo corpo che si decompone, gli animaletti che cominciano ad abitarlo e in questo suo nuovo stato di morta che vive talvolta più autenticamente dei vivi, riflette e rielabora aspetti della sua vita che forse non aveva mai osservato e compreso così compiutamente: dal rapporto con sua madre, all'assenza di suo padre, all'innamoramento per un ragazzo che forse non l'ha mai amata. Dorotea Giglio è, prima e dopo il 23 luglio 2011, se stessa. Che la morte possa essere un'occasione, un trampolino di lancio, una scusa per costringerci a riflettere su quello che abbiamo da vivi e che è così prezioso, non sta a me dirlo. Certamente nel nostro Paese, oggi, la morte è ancora un tabù. E Viola Di Grado lo affronta con decisione e potenza, scegliendo con cura ogni singolo vocabolo del suo romanzo. E al di là che sia autobiografico, dettato da paure nascoste, più o meno maturo di Settanta acrilico trenta lana, è certamente un bel libro, raccontato da una vera scrittrice.